IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCE 
 
 
                          1^ sezione penale 
 
    In composizione  monocratica  nella  persona  del  Giudice  dott.
Stefano Sernia decidendo in ordine alla richiesta di liquidazione del
proprio   compenso   ex   art.   116   del decreto   del   Presidente
della Repubblica n. 115/2002, avanzata dall'avv. Girolamo  Tortorelli
in data 24 febbraio 2014 in relazione alla difesa d'ufficio  prestata
in favore di: 
      De Luca Cosimo, nato a S. Pietro Vernotico il 4 settembre  1986
imputato   rimasto   inadempiente   dell'obbligo   di   corrispondere
l'onorario al proprio difensore, e nei  cui  confronti  sono  rimasti
senza esito i tentativi di recupero forzoso del credito; 
      letti gli atti, ha emesso la seguente ordinanza. 
      Risulta dagli atti allegati all'istanza che il  legale  istante
sia stato difensore di ufficio, ai sensi dell'art. 97  comma  l  cpp,
dell'imputato indicato in epigrafe, rinviato a giudizio in ordine  al
reato  di  ricettazione,  partecipando  all'udienza  filtro  del   23
settembre 2010 personalmente, ed a due  precedenti  udienze  di  mero
rinvio mediante sostituto munito di delega. 
    L'istante deposita la richiesta di  liquidazione  a  distanza  di
piu' di tre anni dalla conclusione della sua attivita' nel  processo,
il cui esito - di condanna - e' ricostruibile  solo  grazie  al  file
della  relativa  sentenza  presente  nell'archivio  dello  scrivente,
atteso che il fascicolo non e' piu' reperibile in  Cancelleria  e  il
difensore nulla ha prodotto  se  non  i  verbali  delle  tre  udienze
ricordate; la ricerca in archivio risulta di particolare  difficolta'
a causa delle complicazioni logistiche  conseguenti  all'accorpamento
delle sezioni distaccate, e pertanto - apparendo sufficienti  i  dati
da esso evincibili - si ritiene di poter decidere sulla base del solo
file della sentenza. 
    In base a tali atti, il difensore non  risulta  aver  partecipato
alla fase istruttoria ne' alla discussione della causa;  pertanto,  i
relativi onorari non potranno essere liquidati. 
    Terminato l'incarico, il difensore chiede comunque che ne vengano
liquidati i compensi, ponendoli a carico dello Stato come previsto ai
sensi degli. artt. 116, 82 e 83  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 115/02. 
    La documentazione prodotta comprova l'inutile  esperimento  delle
procedure  esecutive  azionate  per  il  riconoscimento   di   quanto
spettantegli ed oggetto del decreto ingiuntivo da  lui  richiesto  ed
emesso dal competente Giudice di Pace; l'istante  ha  quindi  diritto
alla soddisfazione del suo diritte all'onorario, a spese dello  Stato
ex art. 116 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02. 
    Sorge quindi il problema di individuare i parametri normativi  da
applicare per la determinazione dell'onorario  liquidabile  ai  sensi
del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02 posto che, come
noto, per effetto del  decreto-legge  n.  01/2012,  convertito  dalla
Legge n. 27/2012, le  tariffe  professionali  vigenti  all'epoca  dei
fatti sono state abrogate; per la precisione, ai  sensi  dell'art.  9
della  legge   di   conversione,   abrogate   dette   tariffe,   esse
provvisoriamente - ed ai  soli  fini  della  liquidazione  giudiziale
delle  tariffe  forensi  -  erano  prorogate  sino  al  120°   giorno
successivo a quello dalla data di entrata in vigore  della  legge  in
parola (la proroga, in pratica, perpetuava la  provvisoria  efficacia
delle suddette tabelle sino  alla  fine  del  c.d.  periodo  feriale,
durante il quale e' infatti  ammessa  ex  art.  92  ord.  giudiz.  la
trattazione solo degli affari urgenti, tra i  quali  non  rientra  di
certo la liquidazione delle parcelle dei difensori). 
    E' stato quindi pubblicato, in data 22 agosto 2012,  con  vigenza
dal giorno successivo alla  pubblicazione,  il  regolamento  previsto
dalla legge per la determinazione delle tariffe professionali ai fini
delle liquidazioni ad opera di un organo giurisdizionale;  l'art.  41
del regolamento prevede che lo stesso debba trovare  applicazione  in
relazione a tutte le liquidazioni ancora da compiersi, e quindi anche
se riferibili ad attivita' prestate - come appunto  e'  nel  caso  in
oggetto - prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 1/12. 
    Successivamente, e' stato altresi' pubblicato il  D.M.  10  marzo
2014, 11 quale ridetermina, in senso particolarmente piu' favorevole,
le tariffe da liquidarsi agli avvocati ad opera del  giudice;  l'art.
28 di detto decreto,  come  gia'  l'art.  41  di  quello  previdente,
prevede che esso si  applichi  a  tutte  le  liquidazioni  ancora  da
compiersi. 
    Stando  alla  lettera  dei  suddetti  regolamenti,  pertanto,  il
giudicante  chiamato  a  determinare  l'onorario  da  liquidarsi   al
difensore dell'imputato ai sensi dell'art. 116 decreto del Presidente
della Repubblica  n.  115/02,  dovrebbe  prescindere  dal  tariffario
vigente all'epoca in cui venne  prestata  l'opera  professionale  del
difensore,  ed  applicare  il  tariffario  vigente  all'epoca   della
liquidazione. 
    Si pone quindi un problema di apparente contrasto tra il  dettato
del regolamento e la previsione di legge (in particolare,  l'art.  11
delle preleggi), che prevedono che la  legge  (e  quindi,  a  maggior
ragione, le disposizioni  regolamentari  che  non  possono  porsi  in
contrasto con la legge, giusta la previsione di cui agli artt. 3 e  4
delle preleggi) possa disporre solo per l'avvenire,  laddove  inoltre
il suddetto regolamento si porrebbe in contrasto con  l'art.  82  del
decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  115/02,  che  per  la
liquidazione rinvia alle tariffe vigenti all'epoca della  prestazione
professionale;  e'  noto  come  l'art.  11  delle  preleggi  sia  una
disposizione di legge ordinaria, derogabile pertanto da  altra  norma
di legge, purche' nel rispetto dei principi costituzionali;  ma  deve
quindi a tal proposito osservarsi che, invece, nessuna  disposizione,
ne' della legge n. 27/2012, ne' del precedente (e comunque modificato
da detta legge) decreto-legge 1/12, ne' la Legge 247/2012 (sulla  cui
base  e'  stato  adottato  il  DM   10   marzo   2014),   prevedevano
espressamente una deroga al principio  della  irretroattivita'  delle
disposizioni normative: in verita', lo  stesso  art.  9  della  legge
27/2012, che abrogava la previgenti tariffe forensi  e  disponeva  la
proroga della loro vigenza solo sino all'emanazione del regolamento e
comunque per non piu' di 120 giorni, legittimamente poteva essere - e
in  base  ai  principi  costituzionali,  deve  essere  -  letta  come
disponente solo per l'avvenire. 
    Deve invero considerarsi che le tabelle forensi hanno  natura  di
norma sostanziale, e di certo non processuale,  atteso  che,  pur  se
legate allo svolgimento  di  attivita'  processuali,  determinano  il
contenuto di un diritto  sostanziale,  e  cioe'  quello  relativo  al
valore economico da riconoscersi alla prestazione  professionale  del
legale per l'attivita' da lui svolta nel processo; da cio' discendono
tre conseguenze: 
        a) la retroattivita'  della  disposizione  regolamentare  non
potrebbe essere giustificata in base al  noto  principio  secondo  il
quale «temous regit actum», atteso  che  questo  vale  per  le  norme
processuali  e  procedimentali  e  non  per  quelle   aventi   natura
sostanziale; 
        b) l'art. 41 del regolamento 140/12, cosi' come l'art. 28 del
decreto 10 marzo 2014, si porrebbero quindi in contrasto  con  l'art.
82 del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  115/02,  che
determinava il  contenuto  economico  del  diritto  del  legale  alla
corresponsione  delle  proprie  competenze;  la  norma  regolamentare
sarebbe quindi suscettibile di disapplicazione ex artt. 4 e 5 R.D. n.
2248/1865, alleg. E, perche' contraria a norma di legge; 
        c) la norma regolamentare dovrebbe poi (ed invero,  prima  di
tutto)  essere  disapplicata,  sempre  ai  sensi  dell'art.  5   r.d.
2248/1865 alleg. E, in  quanto  contraria  anche  all'art.  3  Cost.,
atteso che l'applicazione della norma secondaria ai  casi  esauritisi
prima dell'entrata in vigore della  Legge  n.  27/2012  comporterebbe
esiti di disparita' di trattamento tra professionisti,  assolutamente
ingiustificati, a seconda che  la  richiesta  di  liquidazione  delle
competenze professionali, da loro  avanzata,  sia  stata  decisa  dal
Giudicante (talora a prescindere dalla volonta' dell'istante,  e  per
ragioni legate ai differenti carichi di lavoro o tempi di smaltimento
dei diversi giudicanti)  prima  o  dopo  l'entrata  in  vigore  della
predetta legge n. 27/2012. Ne' potrebbe sostenersi che  il  contrasto
di legalita' costituzionale  potrebbe  essere  superato  grazie  alla
disposizione di cui all'art. 1 comma 7 (norma la cui applicazione non
e' esclusa dall'art. 9 del DM 140/2012, che determina le modalita' di
determinazione dei compensi in  caso  di  patrocinio  a  spese  dello
Stato),  stabilendo  la  non  vincolativita'  per  il  giudice  delle
disposizioni tariffarie; detta norma, infatti, non  puo'  logicamente
fondare  un  potere  arbitrario  del  giudice,  atteso   che   questo
svuoterebbe di senso la stessa necessita' del regolamento tariffario,
e va conseguentemente e necessariamente letta nel piu' ampio contesto
di detta disciplina che lega  la  determinazione  dei  compensi  alla
complessita', in fatto e diritto, della causa, al livello e diligenza
dell'impegno  professionale,  nonche'  ai  suoi  esiti.  Va  pertanto
escluso che l'art.  1  comma  7  predetto  si  presti  a  fungere  da
meccanismo  di  adeguamento   a   correttezza   ordinamentale   delle
disposizioni regolamentari e di  legge,  attribuendo  al  giudice  un
insussistente potere  di  disporre  ad  libitum  la  liquidazione  di
compensi non dissimili da quelli previsti dalle precedenti tariffe. 
    In tutti i casi in cui il Giudicante sia attualmente  chiamato  a
liquidare il compenso al legale ai sensi del decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 115/02 in relazione ad attivita'  prestate  prima
della  cessazione  del  valore  legale   delle   precedenti   tabelle
professionali forensi,  le  stesse  dovranno  pertanto  continuare  a
trovare applicazione. 
    In tal  senso,  vale  la  pena  sottolineare,  sia  pure  tramite
percorso argomentativo piuttosto stringato, risultano  essersi  poste
le Sezioni Unite civili della Corte di  Cassazione  con  sentenza  12
ottobre 2012 n. 17406 (e con altra di  identico  contenuto),  con  la
quale hanno  statuito  che  «per  ragioni  di  ordine  sistematico  e
dovendosi  dare  al  citato  art.   41   del   decreto   ministeriale
un'interpretazione il piu' possibile coerente con i principi generali
cui e' ispirato l'ordinamento, la citata  disposizione  debba  essere
letta nel senso che i nuovi parametri siano da  applicare  ogni  qual
volta la liquidazione giudiziale intervenga in mi momento  successivo
alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al
compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia
ancora completato la  propria  prestazione  professionale,  ancorche'
tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca
precedente, quando ancora erano in vigore  le  tariffe  professionali
abrogate»; laddove e' noto  come,  ai  sensi  dell'art.  83  comma  2
decreto del Presidente della Repubblica  n.  115/02,  l'onorario  del
difensore di imputato ammesso al patrocinio a spese  dello  Stato  e'
liquidato dall'A.G. al termine di ogni fase  o  grado  del  processo,
sicche' e' a tali momenti che occorre far riferimento per  verificare
se  l'attivita'  del  difensore  si  sia  o   meno   esaurita   prima
dell'entrata  in  vigore  del  nuovo  tariffario  di  cui  al  citato
regolamento. 
    Nel caso in oggetto, l'attivita'  defensionale  posta  in  essere
dall'istante,  come  si  e'  visto,  e'  cessata   senz'altro   prima
dell'entrata in vigore del DM 140/2012, che pertanto non puo'  essere
applicato,  cosi'  come,  a  maggior  ragione,   non   puo'   trovare
applicazione, nel caso in oggetto, il DM 10 marzo 2014. 
    Passando quindi alla determinazione degli onorari,  va  ricordato
come la stessa vada eseguita  in  osservanza  dei  criteri  stabiliti
dall'art. 82 comma l del decreto del Presidente della  Repubblica  n.
115/02, e quindi con divieto di superare i valori medi delle  tariffe
professionali all'epoca vigenti, tenendo altresi' conto della  natura
dell'impegno professionale (che il  Tribunale  valuta  tenendo  conto
della mole degli atti, della quantita' delle prove, della difficolta'
del  processo,  della  durata  dello  stesso,  dei  suoi  esiti),  in
relazione all'incidenza degli atti assunti  rispetto  alla  posizione
della persona difesa; ne consegue che  il  massimo  liquidabile  puo'
essere riconosciuto, trattandosi appunto di un massimo, solo a fronte
di attivita' di eccezionale pregio o comunque svolta in  procedimenti
di particolare complessita'. 
    Rileva pertanto che il processo, relativo alla ricettazione di un
borsone, si sia concluso con esito sfavorevole all'imputato  (essendo
stato questi condannato a pena  superiore  al  minimo  edittale,  con
revoca di benefici precedentemente concessigli), in  esito  a  n.  03
udienze, delle quali nessuna contrassegnata da attivita'  istruttoria
(due udienze di mero rinvio,  un'udienza  «filtro»  per  l'ammissione
delle prove e risoluzione di  eventuali  questioni  preliminari,  che
peraltro non risultano essere state sollevate),  con  svolgimento  di
attivita'    difensiva     consistita     unicamente     nell'opporsi
all'acquisizione  e  lettura  della  denunzia   relativa   al   reato
presupposto): 
    A tal proposito, e premesso che: 
        1. gli onorari sono liquidabili non oltre il valore medio tra
minimo e massimo tariffario e spettano in relazione ad ogni  udienza,
e non gia' in relazione  ad  ogni  singolo  atto  gia'  presente  nel
fascicolo  all'atto  del  conferimento  dell'incarico;  nel  caso  in
oggetto, l'attivita' espletata non  appare  essere  stata  di  alcuna
complessita'; 
        2. Le indennita' di attesa non coincidono col  tempo  che  il
difensore ha speso in udienza per la celebrazione del processo (e che
sono  oggetto  dell'onorario  per  partecipazione  all'udienza),   ma
remunerano l'attesa improduttiva dovuta  a  ritardi  nell'inizio  del
processo rispetto all'orario fissato; esse sono pertanto  liquidabili
solo a dimostrazione, non offerta,  che  il  difensore  abbia  dovuto
attendere, per la prestazione della propria opera, oltre l'orario che
era stato  prefissato  per  la  celebrazione  del  processo;  in  via
presuntiva, essendo dette indennita' dovute per ogni frazione di ora,
ed essendo norma di esperienza che, nonostante l'uso di assegnare  ad
ogni processo un  suo  proprio  orario,  difficilmente  questo  venga
rispettato con esattezza cronometrica, si riconoscera'  un'indennita'
per udienza; 
        3. Il Tribunale non puo' liquidare piu' di quanto  richiesto,
essendo tenuto al limite del petitum; 
        4. Le  attivita'  liquidabili,  per  espressa  previsione  di
legge, sono solo quelle mirate alla  difesa  dell'imputato  in  senso
stretto, e non vi rientrano pertanto gli onorari per la  preparazione
della nota spesa, e tanto meno quelli relativi alla procedura per  il
recupero degli  onorari;  a  tal  proposito,  nella  presenza  di  un
contrasto  nella  giurisprudenza  di  legittimita'  sul   punto,   il
Tribunale ritiene di dover infatti osservare che: 
          a) ai sensi dell'art. 82 del decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 115/02, l'onorario del  difensore  e'  determinato  dal
giudice «tenuto conto della  natura  dell'impegno  professionale,  in
relazione all'incidenza degli atti assunti  rispetto  alla  posizione
processuale della  persona  difesa»;  e'  pertanto  evidente  che  il
Legislatore  abbia   inteso   espressamente   delimitare   l'onorario
liquidabile   unicamente   alla   remunerazione    delle    attivita'
professionali  poste  in  essere  dal  difensore  nello   svolgimento
dell'incarico  defensionale  in  favore  della   parte   ammessa   al
patrocinio o comunque difesa d'ufficio nel processo principale, e che
non si sia in alcun modo inteso invece considerare le  spese  che  il
difensore abbia eventualmente sostenuto per il recupero  del  proprio
credito  o  per  la  preparazione  della  parcella,  essendo   queste
attivita' poste in essere per  la  tutela  di  un  proprio  interesse
economico  di  cui  lo  Stato  si  fa  carico  nei  limiti   che   la
discrezionalita' del Legislatore  ha  ritenuto  congrui  ai  fini  di
assicurare effettivita' al diritto di difesa, e da cui ha escluso gli
oneri successivi e necessari a provare l'impossibilita'  di  ottenere
il pagamento da parte del proprio assistito nei casi di cui  all'art.
116 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02; 
          b) tale disciplina non e' affatto irrazionale, e tutt'altro
che assurda, come invece ritiene la giurisprudenza di legittimita' di
segno contrario, atteso che il Legislatore ha avuto cura di prevedere
che i giudizi affrontati dal difensore  per  vedersi  riconoscere  il
proprio credito e recuperarlo siano esenti da bolli, imposte e  spese
(art. 32 disp. att. cpp); 
          c) residuerebbero  le  eventuali  spese  per  onorario  del
legale eventualmente nominato dal difensore nel processo  civile  per
il  patrocinio  delle  proprie  ragioni:  ma  tali  spese   sarebbero
conseguenza di una libera e non necessaria scelta  del  difensore,  e
quindi assolutamente non necessitate (e  di  cui  pertanto  non  v'e'
ragione che lo Stato si faccia  carico),  posto  che  l'art.  86  cpc
espressamente facultizza la parte, che  sia  abilitata  all'esercizio
della professione forense, a difendersi da se'  senza  patrocinio  di
altro difensore; 
          ne consegue che l'attivita'  difensiva  prestata,  valutata
con esclusivo riferimento a quanto dal difensore operato nel processo
in favore del suo assistito, deve essere ritenuta di non  particolare
pregevolezza o rilevanza; si stima quindi equo e congruo liquidare la
seguente somma (tenendo presente che il massimo  indicato  e'  quello
liquidabile, e cioe' risultante dalla  media  tra  minimi  e  massimi
tariffari): 
          esame e studio pro-udienza: (min. 25 max .35) = euro 25 x 3
ud.= euro 75 
          indennita' di accesso: (min. 13,00 max 16,00) = euro 16 x 3
ud.= euro 48 
          indennita' di attesa: (min. 13,00 max 16,00) = euro 16 x  3
ud.= euro 48 
          partecipazione alle udienze: (min.40 max. 52) = euro 40 x 2
+ 45 = euro 135 
          attivita' difensiva in udienza: (min 75,00 max 178) euro 75 
          discussione  orale:  (min.  euro  150,00  max  300,00)  non
spettante 
    liquidandosi quindi complessivamente euro  381,00  da  aumentarsi
del 12,5%, pari ad euro 47,62 a titolo  di  rimborso  forfettario  di
spese, oltre a I.V.A. e CAP se dovuta. 
    L'art. 106-bis del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
115/02, introdotto dall'art. 1 comma 606 Legge n. 147/2013. 
    Applicazione retroattiva ai  sensi  dell'art.  1  comma  607  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02. 
    Va quindi rilevato che la somma liquidata a titolo di onorario va
ulteriormente ridotta di 1/3 e portata quindi ad euro  254,00:  sulla
disciplina sopra descritta opera infatti, con  effetti  sensibilmente
riduttivi degli  importi  (gia'  piuttosto  modesti)  da  liquidarsi,
l'art. 106 bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02,
introdotto dal comma 606 lett. b) dell'art. l della  Legge  147/2013,
c.d. «legge stabilita'» per il 2014, che prevede la riduzione di  1/3
degli onorari spettanti  ai  difensori,  ai  custodi,  ai  consulenti
nominati dal Giudice e  dalle  parti  ed  agli  altri  ausiliari  del
giudice: norma che, ai  sensi  dell'art.  1  comma  607  della  Legge
147/2013,  va  applicata   anche   retroattivamente,   a   tutte   le
liquidazioni non ancora operate dal Giudice alla data di  entrata  in
vigore della legge. 
    Nonostante l'assistenza difensiva  sia  stata  quindi  portata  a
termine dall'istante ben prima dell'entrata in vigore della Legge  n.
147/2013,  anche  all'onorario  da  liquidarsi  per  tale  opera   e'
applicabile, ai sensi del citato comma 607 dell'art. l della suddetta
legge n. 147/2013, la decurtazione di 1/3. 
    Ed invero, la norma appare pertanto avere portata  generale  ogni
qualvolta debba procedersi a liquidazione dell'onorario del difensore
a carico dello Stato  in  applicazione  delle  norme  sul  «gratuito»
patrocinio: e quindi sia che vi sia stata ammissione al patrocinio  a
spese dello Stato, sia allorche' dette norme siano  richiamate  nelle
ipotesi di cui all'art. 116 decreto 115/02; 
    Ne' la riduzione di  1/3,  introdotta  dalla  norma  in  oggetto,
appare  agevolmente  giustificabile  con  la  natura   «latu   sensu»
pubblicistica dell'incarico, atteso che  la  decurtazione  introdotta
dall'art.  106-bis  dpr  115/02  va  ad  operare  su  di  un  sistema
tariffario  che,  ai  sensi  dell'art,  82  comma   1   del   decreto
del Presidente  della  Repubblica medesimo,  gia'  e'  impostato   in
maniera  tale  da  mitigare  l'onere  dei   tariffari   professionali
contemperandoli   con   la   natura   pubblicistica    dell'incarico,
prevedendosi la liquidabilita', al massimo, di un onorario pari  alla
media tra i minimi ed i massimi previsti dalle tabelle professionali. 
    A parere del Tribunale, appare non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale  -  per  contrasto  con  gli
artt. 35, 36 e 3 della Costituzione - dell'attuale disciplina, che  -
andando ad operare su di un sistema tariffario gia' impostato  su  di
una compressione degli onorari liquidabili, ulteriormente  li  riduce
senza giustificazione apparente, specie per  quel  che  riguarda  gli
onorari da liquidarsi in forza dei tariffari  antecedenti  quello  di
cui al D.M. 10  marzo  2014  (il  quale  ultimo  prevede  importi  di
notevole entita' e tali da rendere non irragionevole la  decurtazione
quando l'onorario debba essere a carico dello Stato). 
    Inoltre, appare al giudicante altresi' fondata  la  questione  di
illegittimita' costituzionale,  per  contrasto  con  l'art.  3  della
Costituzione, dell'art. l comma 607 della legge  n.  147/2013,  nella
parte in cui prevede l'applicabilita' della riduzione,  prevista  dal
novello art. 106-bis del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica
n. 115/02, anche alla liquidazione di prestazioni professionali  gia'
operate  nel  vigore  della  precedente  normativa,  ma  ancora   non
liquidate dal giudice. 
    Va in primo luogo ritenuta la natura di  decisione,  a  carattere
giurisdizionale, del provvedimento di liquidazione del  compenso  del
difensore,  analogamente  a  quanto   gia'   ritenuto   dalla   Corte
Costituzionale con  la  sentenza  n.  88  del  1970,  atteso  che  il
provvedimento di liquidazione e' previsto in apeo al giudice  da  una
norma di natura processuale, come dimostrato  dalla  circostanza  che
l'antecedente cronologico dell'art. 116 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 115/02 era - con  testo  pressocche'  identico  -
nell'art. 32 comma 2 disp. att. cpp; ne consegue che,  nonostante  la
apparente   natura   amministrativa   dell'atto   di    liquidazione,
appartenendo pero' questo pur sempre al giudice nell'esercizio  delle
sue funzioni giurisdizionali, tanto da  essere  stato  gia'  previsto
dall'art. 32 comma 2  disp.  att.  cpp,  esso  ha  legalmente  natura
giurisdizionale, e l'autorita' che e' chiamato ad emetterlo e' quindi
«Giudice» nel senso previsto dall'art. l della  L.  Cost.  n.  l  del
1948, sicche' la  questione  di  costituzionalita'  delle  leggi  che
disciplinano l'atto di liquidazione e'  conseguentemente  sollevabile
d'ufficio dal Giudice al sensi del citato. 1 della L. Cost. n. 1  del
1948. 
    La previsione di compensi particolarmente modesti,  assolutamente
e  notevolmente  inferiori  a  quelli  previsti   per   la   medesima
prestazione resa in regime di mercato, appare porsi in primo luogo in
contrasto con i principi costituzionali in tema di tutela del  lavoro
e di equa ed  adeguata  retribuzione  delle  prestazioni  lavorative,
senza  che  appaia  legittimo  trarre  nella   natura   pubblicistica
dell'ufficio  di  difensore  nominato  ex  art.  97  comma   l   cpp,
giustificazioni  ad  un   trattamento   economico   al   marcatamente
penalizzante e che realizza una disparita' di trattamento, rispetto a
chi presti le medesime attivita'  a  condizioni  di  mercato,  troppo
accentuata  per  essere  giustificata  dalla   natura   pubblicistica
dell'incarico e dall'adempimento di doveri di solidarieta' sociale. 
    Deve poi fortemente dubitarsi della  legittimita'  costituzionale
di una normativa che vada a rideterminare  in  peius  e  con  effetti
retroattivi l'entita' economica di quanto di spettanza al difensore a
retribuzione della propria opera, come si osserva  quindi  nel  punto
che immediatamente segue. 
    Contrasto dell'art. 1 comma 607 legge 147/14 con l'art. 3 cost. 
    Come si e' anticipato, la norma  in  oggetto  opera  con  effetti
retroattivi,  essendo   espressamente   previsto   che   essa   trovi
applicazione  a  tutte  le  liquidazioni  ancora  da  compiersi;   la
formulazione dell'art. 1 comma 607 della legge 147/2013 appare quindi
in linea con le scelte - in quei casi forse di semplificazione ma non
di  economia  di  spesa  -  che  sorreggono  anche   i   criteri   di
applicabilita' dei DD.MM. 140/2012 e 10 marzo 2014; con la differenza
che,  mentre  le  norme  dei  due  decreti   sono   suscettibili   di
disapplicazione e possono piu'  agevolmente  essere  interpretate  in
modo da riportarle a rispetto dei principi di legge, non  altrettanto
e' possibile quanto alla citata norma di cui  all'art.  1  comma  607
della legge 147/2013 che, avendo forza  di  legge,  non  puo'  essere
disapplicata. 
    Essa si applica a tutte le liquidazioni ancora da compiersi; e la
formula adottata dal  legislatore,  nella  sua  assolutezza  che  non
consente diverse letture, non permette di distinguere tra prestazioni
gia' eseguite o prestazioni ancora in  fieri:  e  d'altra  parte,  la
stessa funzione e ragion d'essere della norma, chiarissima nella  sua
formulazione, appare essere proprio quella di sollevare  l'interprete
dal compito  di  selezionare  tra  i  vari  casi  e  ricostruire  una
disciplina intertemporale, avendo il Legislatore optato  per  la  via
piu' rapida e foriera di maggior  benefici  economici  per  le  casse
dello Stato. 
    Va quindi ribadito che detta norma si applica  non  solo  per  il
futuro, ma anche per il passato, concorrendo a determinare  l'entita'
monetaria dell'onorario da liquidarsi anche ai difensori di ufficio o
di imputati ammessi al patrocinio a spese dello  Stato,  che  abbiano
gia' prestato la propria opera ed esaurito l'ufficio loro affidato; e
tale modifica, come si e' detto,  opera  in  peius,  introducendo  la
riduzione di 1/3 di quanto altrimenti sarebbe  stato  loro  liquidato
nel vigore della normativa esistente nel momento in cui e' stato loro
affidato l'incarico di difensore di ufficio. 
    Invero, va in primo luogo  escluso  che  il  complesso  di  norme
(artt. 82 e 106-bis del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
115/02; DD.MM. in tema di tariffe  forensi)  gia'  richiamate  e  che
concorrono a determinare l'entita'  dell'onorario  da  liquidarsi  al
difensore, abbiano natura  processuale  e  soggiacciano  pertanto  al
principio  secondo  cui  «tempus  regit  actum»;  invece,  le   norme
surrichiamate,  concorrendo  a  determinare  non  solo  le  modalita'
procedimentali con cui si' procede al pagamento  dell'ausiliario,  ma
anche alla determinazione del  quantum  da  pagarsi,  hanno  evidente
natura sostanziale, in quanto determinano  il  contenuto  stesso  del
diritto economico spettante al  difensore  e  sono  quindi  norma  di
natura.sostanziale. 
    Cio' posto, ne emerge un delicato problema di compatibilita'  con
il principio di eguaglianza, in quanto ne deriva la sottoposizione  a
diverso trattamento economico dei difensori di  ufficio  che  abbiano
svolto la medesima prestazione, a seconda che,  anche  senza  nessuna
loro colpa ma per semplice  difficolta'  di  alcuni  dei  giudici  ad
esaurire rapidamente tutte le operazioni  di  liquidazione,  le  loro
istanze siano gia' state evase,  o  meno,  all'atto  dell'entrata  in
vigore dell'art. 106-bis del decreto del Presidente della  Repubblica
n. 115/02. 
    Una legge retroattiva, di per se', pone poi problemi di  rispetto
dell'art.  3  Cost.  introducendo  il   rischio   di   ingiustificate
disparita' di trattamento tra consociati, sia che siano parte  di  un
rapporto di cui  mutino  la  natura,  o  l'oggetto  ed  il  contenuto
concreto, per effetto della norma retroattiva, venendo cosi' alterato
l'equilibrio del rapporto come concordato tra le parti  (con  lesione
altresi' dell'art. 41 Cost.  che,  tutelando  l'iniziativa  economica
privata,  e'  altresi'  fondamento   del   principio   dell'autonomia
contrattuale, senza la quale non puo' esservi liberta' di  iniziativa
economica), sia che -  non  intervenendo  su  situazioni  interamente
esaurite (come nel caso in oggetto, in cui  non  sono  interessati  i
provvedimenti di liquidazione gia' emessi) - disciplini  diversamente
il diritto di soggetti nella stessa situazione. 
    La  Corte  Costituzionale  ha  gia'  affrontato  il  tema   della
legittimita'   costituzionale   delle   leggi    retroattive;    pur,
condivisibilmente, rilevando la natura non  costituzionale  dell'art.
11 delle preleggi (che appunto dispone che la legge disponga solo per
l'avvenire),  ha  comunque  evidenziato  dei   principi   di   ordine
costituzionale che limitano  i  casi  in  cui  il  Legislatore  possa
emettere leggi con efficacia retroattiva. 
    In particolare, codesto Giudice delle leggi ha statuito,  con  la
sentenza  n.  0092  del  2013,  la  «l'Illegittimita'  costituzionale
dell'articolo 38, camini 2, 4, 6 e 10, del decreto-legge 30 settembre
2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326,  nella
parte  in  cui  riconosce  al  custode  giudiziario  di   autoveicoli
sottoposti al fermo amministrativo, con effetto retroattivo, compensi
inferiori rispetto a quelli previgenti, per violazione del  principio
di   ragionevolezza».   Osservava   infatti   la   Corte   come   «la
giurisprudenza di questa Corte si sia  piu'  volle  soffermata  sulla
legittimita'  delle  norme  retroattive,  in  genere,  e  di   quelle
destinate ad incidere sui rapporti di durata, in specie;  affermando,
in sintesi, che non puo' - ritenersi  interdetto  al  legislatore  di
emanare disposizioni modificative  in  senso  sfavorevole,  anche  se
l'oggetto dei rapporti di durata sia costituito da diritti soggettivi
«perfetti»: cio', peraltro, alla condizione che tali disposizioni non
trasmodino in un regolamento irragionevole, frustrando, con  riguardo
a situazioni sostanziali fondate su disposizioni di leggi precedenti,
l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da  intendersi
quale elemento  fondamentale  dello  Stato  di  diritto  (ex  multis,
sentenza n. 166 del 2012). 
    Infatti, pur se non puo' ritenersi interdetto al  legislatore  di
emanare disposizioni modificative in senso sfavorevole,  e  anche  se
l'oggetto dei rapporti di durata sia costituito da diritti soggettivi
«perfetti», nel caso di specie  viene  in  risalto  non  soltanto  un
«generico» affidamento un quadro  normativo  dal  quale  scaturiscano
determinati diritti, ma uno «specifico» affidamento in un  fascio  di
situazioni  (giuridiche  ed  economiche)  iscritte  in  un   rapporto
convenzionale regolato iure privatorum tra pubblica amministrazione e
titolari di aziende di deposito di  vetture,  secondo  una  specifica
disciplina in ossequio alla quale le parti (entrambe le parti)  hanno
raggiunto l'accordo e assunto le rispettive obbligazioni. Il rapporto
tra depositarlo e amministrazione e' risultato, pertanto, in itinere,
stravolto in alcuni  dei  suoi  elementi  essenziali,  al  di  fiori,
peraltro, della previsione di qualsiasi meccanismo di concertazione o
di accordo e, anzi, con  l'imposizione  di  oneri  non  previsti  ne'
prevedibili, ne' all'origine ne' in costanza del  rapporto  medesimo;
al punto da potersi escludere che, al di la' delle  reali  intenzioni
del  legislatore,  sia  stato  operato  un   effettivo   e   adeguato
bilanciamento tra le esigenze contrapposte». 
    Sempre la Corte Costituzionale, con  la  richiamata  sentenza  n.
166/2012,  aveva  osservato  il  principio   dell'affidamento   nella
sicurezza giuridica delle situazioni soggettive «trova  si  copertura
costituzionale nell'art. 3 Cost., ma non gia' in termini  assoluti  e
inderogabili. Da un lato, infatti; la fiducia  nella  permanenza  nel
tempo di un determinato assetto regolatorio  dev'essere  consolidata,
dall'altro,  l'intervento  normativo  incidente  su  di   esso   deve
risultare sproporzionato. Con la conseguenza che non e' interdetto al
legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare  in
senso sfavorevole per i beneficiari la  disciplina  dei  rapporti  di
durata, anche se  l'oggetto  di  questi  sia  costituito  da  diritti
soggettivi perfetti, unica condizione essendo che  tali  disposizioni
non  trasmodino  in  un  regolamento  irrazionale,  frustrando,   con
riguardo a situazioni sostanziali  fondate  sulle  leggi  precedenti,
l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da  intendersi
quale elemento fondamentale dello Stato di diritto. 
    Analoghi principi risultano affermati anche nella  sentenza  num.
0271 del 2011, in cui egualmente si rimarcava l'illegittimita' di una
normativa che intervenisse  retroattivamente  su  di  una  disciplina
pubblicistica (nel caso, quella che disciplinava l'entita'  monetaria
del trattamento di buonuscita dei dipendenti della  Regione  Calabria
in caso di risoluzione consensuale del trattamento di lavoro) su  cui
avessero fatto ragionevole affidamento i cittadini nel compiere  loro
scelte negoziali (anche di particolare rilievo, nel caso concreto). 
    Questo giudicante osserva quindi che, dalle menzionate  sentenze,
possano trarsi  i  seguenti  principi,  risultanti  esplicitamente  o
implicitamente dalle statuizioni dalla Corte Costituzionale: 
        a) l'art.  3  della  Costituzione  tutela  l'affidamento  dei
consociati in  ordine  alla  immutabilita'  del  contenuto  dei  loro
diritti sorti sotto il vigore di una previgente  disciplina,  essendo
peraltro la sicurezza del contenuto delle  situazioni  giuridiche  un
elemento fondamentale dello Stato di diritto; 
        b) tale immutabilita'  e'  peraltro  relativa,  potendo  essa
cedere di fronte alla necessita' del Legislatore di  operare  diversi
contemperamenti  degli  interessi  coinvolti,  purche'  la  soluzione
operata sia ragionevole anche in relazione al rango ed al  grado  dei
principi costituzionali interessati; 
        c) tanto vale in specie per le norme che vadano  ad  incidere
sui rapporti di durata, in relazione ai  quali,  in  particolare,  si
puo' porre la necessita' di operare un diverso contemperamento  degli
interessi coinvolti di fronte al mutare delle  condizioni  sociali  e
storiche e delle connesse mutevoli esigenze della convivenza; 
        d) lo stesso e' a dirsi quanto a  quelle  situazioni  in  cui
venga in risalto non soltanto un «generico» affidamento in un  quadro
normativa  dal  quale  scaturiscano  determinati  diritti,   ma   uno
«specifico» affidamento in un fascio  di  situazioni  (giuridiche  ed
economiche) iscritte  in  un  rapporto  convenzionale  regolato  iure
privatorum tra pubblica amministrazione e privati. 
    E' bene quindi osservare che la Corte non ha affermato, ed appare
anzi negare, la legittimita' costituzionale  di  una  disciplina  che
venga ad  intervenire,  in  senso  sfavorevole  al  destinatario,  in
relazione ad una situazione che non attenga ad un rapporto di durata,
ma ad un normale rapporto in cui una parte abbia  gia'  adempiuto  ai
propri obblighi, e sia l'altra, non ancora adempiente,  che  si  veda
beneficiaria di una norma di particolare favore che riduca  l'entita'
della propria obbligazione, in assenza di  qualsiasi  giustificazione
razionale alla luce degli interessi coinvolti. 
    Ed invero, puo' senz'altro  escludersi  che  a  fondamento  della
disposizione di cui all'art. 1 comma 607 della Legge 147/2013 possano
porsi ragioni in alcun modo connesse a necessita'  di  ricondurre  ad
equita' un rapporto eventualmente squilibrato in favore  della  parte
gia' adempiente, se e' vero che,  con  i  DD.MM  succedutisi,  gli  i
tariffari   relativi   agli   onorari   di   avvocato   siano   stati
progressivamente     innalzati     riconoscendosene     evidentemente
l'insufficienza nel tempo. 
    Ne' valga osservare che la Corte abbia fatto riferimento, con  la
sua citata giurisprudenza, a leggi che intervengano  su  rapporti  di
natura negoziale, perche' cio' non vale ad escludere, di per se',  la
pregnanza delle argomentazioni svolte nelle due citate sentenze anche
con riferimento al caso in oggetto. 
    Invero, la Corte ha inteso affermare come debba essere  garantita
la sicurezza dei consociati in ordine ai rapporti consolidati, e come
sarebbe  ingiusta  e  foriera  di  disparita'  di   trattamento   una
disciplina che intervenisse a mutare irragionevolmente i rapporti tra
le parti: il che normalmente - ma non necessariamente  -  implica  un
rapporto di natura negoziale, pur  potendosi  facilmente  determinare
casi in cui, al di fuori dello schema del negozio giuridico,  vengano
a realizzarsi dei rapporti il cui  sorgere  ed  articolarsi  comunque
poggi   sull'affidamento   in   una   determinata    regolamentazione
suscettibile di miglioramenti ma non di peggioramenti: il che appunto
riguarda il caso dei compensi stabiliti per i difensori: e  cio'  non
solo perche' in genere  il  rapporto  tra  il  difensore  ed  il  suo
assistito sia di natura negoziale (come spesso  accade  nei  casi  di
parti' ammesse al patrocinio a spese  dello  Stato),  quanto  per  le
seguenti ragioni, valevoli per il caso del difensore di ufficio. 
    Ed invero, pur essendo quello del difensore di ufficio un ufficio
legalmente dovuto (che  infatti  l'art.  97  comma  5  cpp  definisce
espressamente come obbligatorio e rinunciabile solo per  giustificato
motivo), e che quindi non puo' essere liberamente rifiutato, e'  bene
osservare  come  il  conferimento  di  detto  ufficio  non  prescinda
totalmente dalla volonta' del nominando, posto che  -  sia  ai  sensi
dell'art. 97 comma 1, sia ai sensi dell'art. 97  comma  4  cpp  -  il
difensore di ufficio deve essere in via ordinaria scelto  nell'ambito
dei soggetti che - su propria domanda - siano iscritti negli appositi
elenchi tenuti dai Consiglio dell'Ordine presso ogni Tribunale  (cfr.
artt. 17 cpp e 29 disp. att. cpp); ed il singolo professionista, deve
ritenersi, si determinera' o meno alla presentazione della domanda di
iscrizione  nel  suddetto  elenco,  anche  in   ragione   delle   sue
valutazioni  sulla  convenienza  economica  o  meno   dell'assunzione
dell'ufficio: convenienza che discende dalla normativa  esistente  in
quel momento e sino a quello in cui avviene la nomina  (potendo  sino
al giorno prima il professionista  decidere  ad  es.  di  cancellarsi
dall'elenco). 
    Di fatto, pertanto, pur non instaurandosi un rapporto  di  natura
negoziale tra difensore di ufficio e cliente, ne'  tra  difensore  di
ufficio e Stato, non  puo'  negarsi  che  al  conferimento  di  detto
incarico  ad  un  determinato  soggetto  concorre  la  manifestazione
originaria  di  volonta'  da  questi  operata   alla   disponibilita'
all'incarico, manifestata con l'iscrizione  nell'apposito  elenco  di
cui  all'art.  29  disp.  att.  cpp;  questa  volonta'  e'  orientata
dall'affidamento in un determinato sistema normativo; un mutamento in
peius di detto  sistema  non  puo'  non  assumere  rilevanza,  specie
qualora esso venga ad applicarsi, addirittura, ad  un  rapporto  gia'
compiutosi e di cui e' in sospeso solo l'adempimento  degli  obblighi
di una delle parti (quella  stessa  parte  -  e  cio'  non  puo'  non
assumere  rilievo,  amplificando  la  misura  della   disparita'   di
trattamento - che modifica le norme a suo favore). 
    Deve  pertanto  essere   qui   sollevata   la   questione   della
illegittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 1 comma 607
della legge 14,7/2013, che e'  rilevante  trattandosi  di  norma  che
questo Giudice e'  chiamato  ad  applicare  al  fine  di  operare  la
presente liquidazione. 
    I  limiti  costituzionali  alla  pretensibilita'  di  prestazioni
patrimoniali o personali ai sensi degli artt. 2 e 23 costi. 
    L'opera del difensore di ufficio  ha  -  da  un  punto  di  vista
oggettivo ed ontologico - indubbiamente natura lavorativa, in  quanto
comporta  l'esplicazione  di  energie   intellettuali   e/o   fisiche
esattamente  corrispondenti  a  quelle  oggetto  delle  attivita'  di
specifiche figure professionali normalmente operanti nel mercato  del
lavoro;  egli  puo'  peraltro  rinunziare   all'incarico   solo   per
giustificato motivo, laddove in tale  concetto  senz'altro  non  puo'
farsi rientrare in via generale  l'inadeguatezza  o  non  convenienza
dell'indennita' prevista dalla legge, atteso che  questa  e'  fissata
con norma generale e fonderebbe quindi per ogni perito un motivo atto
a giustificare il rifiuto  o  la  rinunzia  all'ufficio:  il  che  e'
contraddittorio con la natura  dell'istituto,  con  l'obbligatorieta'
dell'ufficio, e con la evidente natura straordinaria dei casi in  cui
all'ufficio si possa rinunziare. 
    L'art. 97 cpp prevede pertanto ipotesi in cui lo  Stato,  e'  per
mezzo  del  giudice,  impone  a  determinati  soggetti  l'obbligo  di
eseguire una prestazione lavorativa,  al  di  fuori  di  un  rapporto
contrattuale  con  la  P.A.,  con  controprestazione   predeterminata
normativamente in misura potenzialmente inferiore, per effetto  della
disposizione dell'art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 115/02, a quella ottenibile in regime di «mercato»,  e  senz'altro
concretamente  inferiore  a  quella  da  liquidarsi  a   parita'   di
prestazioni, per effetto dell'art. 106-bis del decreto del Presidente
della Repubblica 115/02, applicabile , come detto,  anche  ai  regimi
tariffari antecedenti al D.M. 10 marzo 2014. 
    La fonte della legittimita'  costituzionale  di  tale  disciplina
riposa nell'art. 23 Cost. che ammette che la legge possa imporre  una
prestazione personale, oltre che patrimoniale; e nell'art.  2  Cost.,
che chiama i cittadini all'adempimento  dei  doveri  di  solidarieta'
sociale, nel cui ambito possono senz'altro farsi rientrare le ipotesi
di occasionale in forza di un obbligo scaturente dalla legge. 
    Sebbene non espressamente previsto dalla due norme teste' citate,
deve ritenersi che nell'impianto costituzionale sia  comunque  insito
un limite di ragionevolezza alle prestazioni che possono richiedersi. 
    Lo si evince dal rispetto che la carta Costituzionale  assegna  e
riconosce alla persona umana ed ai suoi diritti  inviolabili,  tra  i
quali senz'altro rientra - aspetto generale dei diritti  di  liberta'
personale - quello di scegliere come disporre del proprio tempo ed il
diritto a non essere assoggettati, neppure ad opera  dello  Stato,  a
forme di sfruttamento della propria opera  lavorativa  (cfr.  proprio
l'art. 2  Cost.;  ma  anche  l'art.  36  Cost.  nella  parte  in  cui
riconoscendo i diritto alle ferie retribuite ed ad un orario  massimo
di lavoro, tutela anche il diritto al tempo  libero);  lo  si  evince
dalla principale norma in tema di prestazioni patrimoniali, l'art. 53
Cost. commisurando i doveri fiscali alla capacita'  contributiva;  lo
si  evince  dalla   tutela   accordata   alla   proprieta'   privata,
espropriabile - giusta la previsione di cui all'art. 42 comma 3 Cost.
- solo  per  ragioni  di  pubblico  interesse  e  dietro  indennizzo:
indennizzo che, nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, deve
avere  le  caratteristiche  di  un  serio   ristoro   della   perdita
patrimoniale subita, e non un carattere irrisorio o simbolico  (cfr.,
ad es., la sentenza n. 38/2011 della Corte Costituzionale). 
    Invero, gli artt. 2 e 23 Cost., pur legittimando i casi in cui al
cittadino la legge richieda l'adempimento di doveri di  solidarieta',
e finanche la corresponsione  di  prestazioni  di  natura  personale,
vivono pur sempre nel contesto di altri principi  costituzionali  coi
quali vanno coordinati, ed in primis gli artt. 35, 36 e 3 Cost.,  che
impongono dei limiti al  sacrificio  che  la  legge  ordinaria  possa
imporre al cittadino: limiti che sono sia  di  ragionevolezza  -  per
evitare marcate situazioni di disparita'  di  trattamento  con  altri
cittadini lavoratori chiamati a rendere prestazioni analoghe - che di
entita' economica, per evitare che  una  prestazione  lavorativa  sia
retribuita  in  maniera  tale  da  mortificare  la  sua   natura   di
riconoscimento del valore della prestazione lavorativa e di strumento
di dignitoso sostentamento dell'individuo e della sua famiglia. 
    Le tariffe professionali previste dai DD.MM. precedenti  il  D.M.
10 marzo 2014 si ponevano nei limiti della congruita' costituzionale:
il D.M. 140/2102 vedeva gli importi mediamente superiori  rispetto  a
quelli del  sistema  previdente,  e  l'onorario  era  «di  norma»  da
diminuirsi della meta' (art. 9 del  D.M.),  in  un  sistema  in  cui,
comunque, ai sensi dell'art. 1 del D.M., il Giudice non era vincolato
ne' ai minimi ne' ai massimi tariffari, e poteva  quindi  agevolmente
remunerare l'attivita' professionale in maniera congrua  rispetto  al
suo  effettivo  valore;  il  DM.  precedente  non  prevedeva   alcuna
diminuzione della meta' per il patrocinio a spese dello Stato, ma  in
compenso i valori di tariffa erano mediamente inferiori a quello  del
successivo  D.M.  140/2012;  il  D.M.  10  marzo  2014  introduce  un
considerevole aumento delle tariffe professionali,  su  di  cui  puo'
quindi operare senza effetti  troppo  sensibili  l'art.  106-bis  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02  che  introduce  la
riduzione di 1/3 degli importi da liquidarsi a carico dello Stato per
i difensori di imputati ammessi al patrocinio a spese dello  Stato  e
per  i  difensori  di  ufficio  di  imputati  inadempimenti   e   non
esecutabili. 
    Il sistema aveva quindi un suo razionale equilibrio tra  esigenze
di  adeguata  remunerazione  dell'attivita'   professionale,   natura
pubblicistica dell'incarico, oneri di bilancio per lo  Stato;  e'  la
previsione  dell'applicazione   retroattiva   dell'art.   106-bis del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n. 115/02   anche   alle
liquidazioni da operarsi ai sensi dei DD.MM. precedenti quello del 10
marzo 2014, che stravolge l'equilibrio, conducendo alla  liquidazione
di onorari irrisori. 
    Va quindi rilevato che la vigente disciplina  intertemporale  del
trattamento economico dei difensori di ufficio  e  dei  difensori  di
imputati ammessi al patrocinio a spese dello Stato,  nella  parte  in
cui, ex art. 1 comma 607 Legge 147/2013, prevede la riduzione di  1/3
dell'onorario  da  riconoscersi  al  difensore   anche   qualora   la
liquidazione debba essere eseguita applicando i DD.MM. antecedenti il
D.M. 10 marzo 2014, vede i difensori di ufficio, in relazione  ad  un
ufficio al quale sono chiamati in adempimento di doveri sociali ed al
quale non  possono  sottrarsi  se  non  per  giustificato  motivo  (e
senz'altro  non  per  ragioni  legate  esclusivamente   alla   scarsa
remunerazione dell'incarico), ricevere emolumenti che appaiono essere
assolutamente inidonei a  garantire  il  rispetto  del  principio  di
ragionevolezza che deve mitigare l'onere ad essi imposto, e  inadatti
a fungere da serio ristoro rispetto  all'impegno  loro  richiesto  ed
alla vera e propria espropriazione delle loro  energie  lavorative  e
del loro tempo. 
    La violazione dell'art. 35 Cost. 
    Di fatto,  l'attuale  normativa  crea  una  classe  di  operatori
economici che, in virtu'  del  possesso  di  determinate  qualifiche,
strumentali allo svolgimento del processo nel rispetto del diritto di
difesa, e' soggetto per legge ad un palese sfruttamento economico, ad
opera  dello  Stato  che  invece,  per  primo   e'   chiamato   dalla
Costituzione  a  realizzare  le  condizioni  di  eguaglianza  tra   i
cittadini ed ad assicurare la congrua retribuzione  del  lavoro;  per
contro, la frequenza  con  cui  l'A.G.  ha  necessita'  di  ricorrere
all'opera di difensori di ufficio o di imputati ammessi al patrocinio
a spese dello Stato, mal retribuiti, appare porsi in palese contrasto
con l'art. 35 Cost., che impone allo Stato  di  tutelare  il  lavoro,
mentre invece lo sfrutta, e rende difficoltoso  all'ausiliario  anche
dedicarsi ad altre attivita' (si pensi al caso, tutt'altro che  raro,
di perizie molto impegnative). 
    Gli emolumenti o indennita' spettanti per  l'assolvimento  di  un
ufficio pubblico, sono infatti  sottoposti  in  primo  luogo  ad  una
retribuzione gia' di per se' limitata ex  art.  82  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n.  115/02,  rispetto  a  quanto  sarebbe
altrimenti liquidabile. A tasle limitazione, che appare  di  per  se'
razionalmente compatibile con i ricordati artt.  2  e  23  Cost.,  si
aggiunge quindi  una  rilevante  decurtazione  ex  art.  106-bis  del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  115/02   per   fatti
assolutamente indipendenti da alcun comportamento del difensore. 
    Incompatibilita' con l'art. 36 della costituzione. 
    Ai sensi dell'art. 36 della  Costituzione,  alla  prestazione  di
ogni attivita' lavorativa deve corrispondere la controprestazione  di
una retribuzione: 
        a) proporzionata alla qualita' e quantita' del suo lavoro; 
        b) sufficiente ad assicurare  a  se'  ed  alla  sua  famiglia
un'esistenza libera e dignitosa. 
    Nessuna di tali condizioni appare assolta dalla vigente normativa
intertemporale che, come ricostruita da questa A.G. nel rispetto  del
principio di' legalita', si risolve nella corresponsione al difensore
di una retribuzione  irrazionalmente  sperequata  rispetto  a  quella
prevista dalle tabelle  forense  all'epoca  vigente  e  che  si  deve
ritenere identifichino i limiti di idoneita' costituzionale, ex  art.
36 Cost., del compenso per  la  specifica  attivita'  del  difensore;
l'onorario che si andrebbe invece a corrispondere  applicando  l'art.
106-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02 al caso
concreto, e per di piu' retroattivamente, comporterebbe  inoltre  una
palese sperequazione di trattamento rispetto a quello di di cui hanno
goduto, nella medesima situazione, altri legali che abbiano  prestato
attivita' similari e la cui istanza di liquidazione dell'onorario sia
stata presentata e/o evasa prima  dell'entrata  in  vigore  dell'art.
106-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02. 
    Dovendo  questo   tribunale   procedere,   nella   determinazione
dell'onorario, alla applicazione della norma di  cui  si  censura  la
costituzionalita', la questione appare palesemente rilevante.